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I fiumi ci
affascinano non solo perché possiamo immaginare con qualche fondamento che
hanno cominciato a scorrere in un particolare luogo, si può dire, da
sempre. Un sempre non infinito ma che può essere esteso nel passato sino a
centinaia di migliaia di anni fa, o anche a milioni di anni; un sempre,
inoltre, che ce li presenta diversi a ogni istante (Eraclito diceva che
non ci possiamo tuffare due volte di seguito nello stesso fiume). Ma ci
incantano i fiumi anche per altre ragioni, soprattutto per una in
particolare: il mistero del significato dei loro nomi.
I nomi dei fiumi sono fra quelli più antichi di una lingua e quasi sempre
risalgono a lingue anteriori parlate nel luogo da altre etnie che si sono
succedute nel territorio nel corso di periodi a volte più che millenari. E
nonostante che la creazione del nome del fiume (il suo “battesimo”) e la
sua trasmissione di generazione in generazione siano avvenute per lunghi
periodi presso popoli che non conoscevano ancora la scrittura (e perciò è
stato registrato per iscritto soltanto in un tempo storico relativamente
recente), quel nome è rimasto pressoché inalterato nel suono e viene
ancora usato, e sarà usato chissà ancora per quanto tempo, come nome senza
preoccuparsi del suo significato originale. Serve ora soltanto per
distinguerlo da altri fiumi come una tabella stradale.
In uno scritto sulla contrada Malvizza, nel territorio di Montecalvo
Irpino, abbiamo proposto, e riportato anche nell’approfondimento storico
della scheda “Bolle della Malvizza” di questo
museo (v. nell’INDEX, la voce corrispondente), tra l’altro, anche una
nostra ipotesi sulla etimologia del nome del Miscano.
La nostra ipotesi, per forza di cose soltanto probabile, proponeva per il
nome Miscano due significati compresenti in esso in forza di una possibile
loro unione semantica avvenuta nel corso del tempo (come avviene nel noto
fenomeno linguistico dell’etimologia popolare). Risalivamo sia al radicale
indoeuropeo *MEZG-, probabilmente collegabile al latino “mergere”, e
all’italiano “immergere” (impossibile trovare qualcosa di corrispondente
nei pochi termini noti della lingua osca parlata in passato nel nostro
territorio); e sia all’altro radicale indoeuropeo *MEIG-, collegabile al
latino “miscere” e all’italiano “mischiare” (omologo al verbo –
‘mmishkà’ne dei dialetti locali). Ritenevamo di conseguenza che l’ipotesi
da noi ricostruita si rafforzasse per il fatto che il fiume e il suo
bacino venivano, primo, attraversati dal tratturo più importante della
transumanza tra l’Abruzzo e la Puglia, superando guadi in cui le pecore
venivano “immerse”, sia per oltrepassare il fiume, come anche per lavare
la loro lana, nel percorso di ritorno in montagna, in primavera; e,
secondo, che il fiume finiva con il confluire, quindi “mischiarsi”, nell’Ufita
e insieme a questo immettersi poi nel Calore, l’affluente più importante
del Volturno.
Oggi il Miscano è come appare dalle immagini riportate nella Photogallery.
Il suo greto e tratti di vecchi greti in quota rispetto al letto attuale
sono compattati in pietrame secco come i letti degli “uadi” del Sahara,
deserto a cui assomigliano anche i terreni privi di vegetazione arborea e
di colture intensive che si dipartono dalle sue rive.
Il nostro Miscano, ad ogni modo, non è stato sempre una “jumara”
torrentizia e secchissima per la maggior parte dell’anno. Si è ridotto
così, primo, per la causa relativamente recente della captazione
sistematica, o, meglio, del furto delle sue acque mediante pozzi e
deviazioni, a cominciare dalle sue sorgenti, reato perpetrato in ogni
comune a spese dei comuni che si trovano verso valle. E, secondo, a causa
della desertificazione dei terreni del suo bacino per la dissennata
monocoltura estensiva a grano che dura da secoli. Dice il geografo storico
Roberto Almagià, nel suo libro L’Italia, Torino, 1959, p. 526: “Sulla
estensione dei boschi possiamo ricavare dagli autori romani notizie
soprattutto per la penisola… presso Benevento, Pirro, con il suo esercito
si perdette nel 275 a.C. tra boschi foltissimi”. E noi aggiungiamo che
Pirro, per dirigersi a Benevento venendo con i suoi elefanti dalla Puglia,
doveva passare inevitabilmente dalla valle del Miscano.
Le caratteristiche geografiche e storiche del Miscano e della sua valle.
Nasce nel territorio di Faeto (provincia di Foggia), quasi in cima al
Monte La Difesa, di m. 1060 s.l.m., nella Daunia irpina. Il suo bacino si
stende nei territori di tre province: Foggia, Avellino e Benevento; e di
undici comuni: Faeto, Greci, Ariano Irpino, Castelfranco in Miscano,
Ginestra, Montecalvo Irpino, Casalbore, Buonalbergo, Sant’Arcangelo
Trimonti e Apice. Confluisce nel fiume Ufita, sotto le pendici del Monte
Rocchetta, nel territorio di Apice, dopo un corso di circa 30 km.
Storicamente la valle è stata importante quasi soltanto in epoca sannita e
romana, e di queste due civiltà restano importanti, seppure trascurati,
resti archeologici degli insediamenti antichi, alcune tracce del tratturo,
e, per ciò che importa qui, avendo parlato di un fiume, i ruderi di alcuni
ponti della Via Traiana (v. schede del Ponte
di Santo Spirito, presso la Malvizza di Montecalvo Irpino, e quella
del Ponte delle Chianche, nel
territorio di Buonalbergo, nell’Index). Del rudere del Ponte Appiano,
lungo la Via consolare Appia parleremo nella scheda che scriveremo sull’Ufita
e la sua valle.
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