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In nessuna delle
schede scritte per questo museo virtuale mi sono espresso in prima
persona come ora sto per fare riguardo al rione Trappeto del mio paese
d’origine. Una specie di pudore mi ha trattenuto dal farlo, una specie
di blocco psicologico, per molto, troppo tempo. Si trattava, lo temevo,
di recitare solamente un elogio funebre. Si può parlare di un pezzo di
paese, di un piccolo mondo incastonato ai margini del centro storico
come si fa di una persona morta? Ora so che si può fare , perché il
Trappeto è morto. Giace con le facciate sventrate delle sue case sulla
pendice meridionale della nostra modesta montagna e sembra che stia per
scivolare nella voragine del Fosso Palumbo.Le antiche case scavate
nell’arenaria e ordinate in gradoni sono ormai immerse nel silenzio e
non danno più segni di vita..
L’abitato ancora vivo era ordinato in gradoni più o meno orizzontali e
le case di un livello inferiore tracciavano con i loro tetti le strade (
sentieri quasi campestri, in verità) per le case del livello superiore;
e così salendo sino al ciglio del rione dove in alto cominciava il paese
di case “vere”, non di case “grotte”. Quelle del Trappeto, infatti,
erano edificate solo nella facciata e nel primo ambiente d’ingresso, e
poi diventavano semplici antri bucati dagli abitanti nella roccia tenera
della montagna per ricavare spazio per gli animali, le nidiate di figli,
i ripostigli e le cantine, giù verso gli inferi, verso il buio perenne
simile a quello in cui si rintanavano gli uomini del Neolitico.
L’uomo ha abitato il Trappeto molto prima che sorgesse la comunità di
Montecalvo, che è nata più o meno intorno all’anno Mille. Un paese senza
nome, come attesta il toponimo che segnala soltanto un aspetto
paesaggistico del monte (o probabilmente soltanto giuridicamente
descrittivo dopo la deforestazione selvaggia dell’antico “ager publicus”
romano) e rimasto spopolato salvo che per qualche fortilizio
d’avvistamento sulla sua cima, fuori com’è il nostro cocuzzolo dalle vie
consolari e imperiali, e le strade che successivamente ne hanno preso il
posto, le quali l’oltrepassano anche oggi da lontano lungo le due
vallate del Miscano e dell’Ufita.
Il Trappeto, invece, ha avuto un’esistenza più che millenaria, ma
anch’esso era una comunità di scarsissimo peso socio-politico ed
economico nel territorio circostante. La sua popolazione era costituita
sino alla sua decadenza da poveri coltivatori e braccianti, tutti
asserviti con varie forme contrattuali su campi di proprietari
latifondisti provenienti spesso da fuori territorio. Una comunità
comunque di uomini e donne schiacciati sul fondo della società del
posto.
Il Trappeto era sopravvissuto a disgrazie di ogni genere:pesti,
carestie, terremoti, ma a metà degli anni Ottanta del secolo appena
trascorso è giunta la sua fine.
Io (devo ora necessariamente parlare in prima persona come testimone )
come tanti compaesani appartenenti un po’ a tutti i ceti sociali,
insieme agli abitanti del Trappeto, scappai insieme agli altri in terra
d’emigrazione, nella grande fuga degli anni Cinquanta e Sessanta..
Alcuni di noi, che essendo a pena a pena di condizione diversa dai
trappetari non conoscevano il rione, una volta in giro per il mondo
impararono che il cuore del paese d’origine era stato e continuava ad
esserlo, sia pure in condizioni sempre più gravi, il Trappeto. Io
cominciai a tornarci per visitarlo da Roma, e poi dal Nord Italia e
iniziai a scattare le foto che potrete vedere nella PHOTOGALLERY
collegata a questa scheda. Ancora si vedono donne usare lo spazio comune
e le strade per asciugare il granturco, per stendere il bucato, andare
al Fontanino a rifornirsi d’acqua , il sapiente del rione è davanti casa
dove dà consigli a chiunque glieli va a chiedere, una centenaria sta
sulla soglia dove c’è luce a sferruzzare, i bambini girellano liberi o
danno una mano alle nonne alle prese con vari lavori di stagione.
Queste foto, forse non sgradevoli da un punto di vista meramente
estetico, documentano però gli ultimi anni di vita del rione. Ora esso è
stato semplicemente abbandonato al degrado; e gente poco civile,
nonostante un buon esempio dato di recente da un nostro amico di Ariano,
Gaetano Caccese della UISP che vi portò una squadra di giovani a
pulirlo, ne approfitta per buttare giù dai parapetti e dalle inferriate
ogni tipo di immondizia.
Il Trappeto oggi è l’emblema di una morte non rispettata, una morte
indecorosa. Venisse almeno abbandonato all’opera della sola Natura
misericordiosa, chissà che con il tempo il Trappeto non diventi un luogo
romantico, come lo era la campagna romana cosparsa di antichi ruderi ai
tempi di Goethe? Mah!
M.S.
Bologna, Novembre 2009
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