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Ginestra degli
Schiavoni è un altro posto delle nostre valli dove è facile rintracciare
l’antica Via Sacra dei Longobardi. Un posto molto significativo, come
vedremo, perché presenta molti indizi materiali sul percorso del
pellegrinaggio verso Monte Sant’Angelo del Gargano.
Quella che venne chiamata Via Sacra Langobardorum cominciò con il
tratto Benevento-Monte Sant’Angelo per collegare la capitale del Ducato
Longobardo del Sud con la chiesa grotta del Gargano dedicata
all’Arcangelo Michele, alla fine del VI ed agli inizi del VII secolo.
Successivamente, il pellegrinaggio della gente longobarda alla grotta in
cui essi veneravano, o meglio continuavano a venerare il loro dio
guerriero Wodan (Odino) sotto le spoglie dell’arcangelo armato di spada,
si rinforzò dopo che il duca Grimoaldo I di Benevento ebbe una visione
dell’Arcangelo Michele prima della battaglia vittoriosa contro i
bizantini nei pressi dell’attuale santuario, nell’anno 660 (v.
ERCHEMPERTO, De Apparitione Sancti Michaelis, in MGH, SS rer.
Lang. et Ital., pp. 541 e segg.)
Prima unicamente percorso dei longobardi beneventani, poi diventato
tradizionale anche per i loro connazionali del Ducato di Spoleto e per
quelli che provenivano dalla capitale del Regno longobardo di Pavia,
dopo che i Franchi distrussero il dominio longobardo in Italia (fuorché
il Ducato beneventano diventato nel frattempo Principato) si sovrappose
alla Via Sacra la Via Francigena che faceva tappa a Monte Sant’Angelo ma
proseguiva fino a Gerusalemme (era l’epoca delle crociate).
Significativamente la stazione di partenza della Francigena era il
santuario di Mont Saint Michel, in Normandia.
A Ginestra degli Schiavoni eravamo andati alla ricerca di probabili
sopravvivenze, nella lingua e nella cultura locale, delle sue origini
dalmate o istriane allettati dalla specificazione del suo nome, ma
questa ricerca è stata completamente frustrata. Riportiamo per
consolarci ciò che dice l’erudito locale Armando Manserra: ”La
negligenza di coloro che ci precedettero non ci tramandò neanche una
debole fiammella perché potessimo incamminarci sulla strada della
verità”. Scorrendo il glossario lessicale del dialetto di Ginestra,
curato dallo stesso Manserra, non abbiamo trovato un solo termine
allogeno rispetto ai dialetti italiani della zona. Se ci furono mai
Schiavoni da quelle parti sembra che essi siano stati completamente
assorbiti socialmente e culturalmente.
Il luogo perciò trae per noi la sua importanza soprattutto dagli indizi
di quella famosa via di pellegrinaggio ancora viva probabilmente nel
Settecento, sia nella toponomastica antica e moderna che nella
topografia del territorio. Ginestra spostò la sua sede originale
scegliendo l’attuale sito nel XVI secolo per motivi difensivi. Il sito
antico era a Piana Sant’Angelo, una conca fertile attraversata dal
torrente Ginestra alle falde del Monte Sant’Angelo che conserva tuttora
il suo nome primitivo. Crediamo che questi indizi siano sufficienti per
collocare Ginestra nel corso principale della Via Sacra di cui avrebbe
potuto anche essere testimonianza una chiesa a Piana Sant’Angelo di cui
purtroppo non restano neanche i ruderi, perché i sassi dell’edificio
sacro, ci hanno detto alcuni giovani contadini del posto, sono stati
depredati e adoperati in nuove costruzioni rurali.
Ad ogni modo, gli indizi lasciati dal nome dell’arcangelo armato di
spada sono del resto sparsi sia sulla riva destra del fiume Miscano: a
Buonalbergo e Casalbore ( dove esiste ancora una chiesa-grotta su scala
ridotta di quella di Monte Sant’Angelo del Gargano – v . in questo
stesso sito Una stazione della Via Sacra dei Longobardi a Casalbore);
sia sulla riva sinistra del fiume: a Corsano, Montecalvo (a Costa
dell’Agnolo dove esisteva una cappella dedicata a San Michele
Arcangelo) e Ariano. Il che ci induce a ipotizzare che la Via Sacra dei
Longobardi attraversava, ne siamo certi, con , tanti rivoli il territorio dell’Irpinia-Daunia;
e lo sciame dei pellegrini si spartiva lungo antiche vie (i tratturi, le
vie consolari, ecc.), scorciatoie e varianti nei tipici andirivieni dei
pellegrinaggi medievali per iniziativa degli stessi gruppi i quali
amavano fare sia all’andata che al ritorno percorsi nuovi per motivi che
potremmo anche chiamare turistici ante litteram.
Il fatto però che le cappelle dedicate all'Arcangelo erano quasi tutte
fuori degli abitati fa sorgere il sospetto che i pellegrini,
specialmente quelli armati, non fossero bene accetti dentro le mura
cittadine.
Le esigenze di venerazione erano comunque soddisfatte già lungo il
cammino dalla presenza di chiese e cappelle nelle quali l’Arcangelo
armato di spada rassicurava, all’inizio, una gente guerriera che ogni
primavera partiva per fare razzie e guerre; e dopo, in tempi più
pacifici, rassicurava fedeli di credenza religiosa ancora più antica di
quella dei barbari longobardi perché avevano bisogno di un difensore
dalle malefatte del Maligno.
Bologna, maggio 2011 |