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Nel silenzio di
un posto ora deserto, ma una volta pulsante di vita, si possono
avvertire, rimanendone catturati, delle presenze, delle realtà quasi
sensibili difficili poi da rievocare con parole?
Questo posto è la cima del Monte Chiodo, sopra Buonalbergo. Occorre
però, una volta giunti lassù, chiudere gli occhi e acuire l’udito; e,
belati, abbaiare e guaire di cani, muggiti, urla e canti umani
(echeggianti suoni che sono sopravvissuti nelle parlate della nostra
valle[1] ) arrivano nel vento.
Si sale verso la cima del monte, a più di ottocento metri, e tra l’erba
che riveste i sui fianchi, già da lontano si vedono biancheggiare massi
rimasti nei secoli quasi segni inequivocabili, forse sapientemente
connessi e allineati perché travalicassero la durata di innumerevoli
generazioni e di civiltà diverse.
La cima del monte e la fascia alta che la circonda è un’area in cui
appare evidentissima la tripartizione di cui parlano gli studiosi degli
oppida sanniti: i resti dei muri di un fortilizio sulla spianata
della vetta; quelli di un santuario a qualche decina di metri più a
valle forse ri-dedicato come chiesa al tempo della successiva
cristianizzazione; e le numerose concavità disseminate nella fascia del
terreno ancora più in basso. Questa fascia abbraccia i tre versanti non
scoscesi in cui erano erette le abitazioni degli uomini fatte con
materiali scomparsi in quelle concavità perché deperibili. Sembra
indubitabile che si tratti di una tripartizione di uso specializzato del
suolo caratteristico degli insediamenti non ancora urbani come quelli
dell’antico Sannio[2] .
Il sito di Monte Chiodo presenta come struttura principale una
fortificazione di forma più o meno rettangolare (quasi un trapezio) che
recinge l’intera vetta con mura di tipo ciclopico (muri a secco di
pietre di varie dimensioni e non squadrate con eccessiva arte). L’area
della fortificazione è sufficientemente spaziosa per accogliere e
chiudere un consistente numero di capi di bestiame, il quale si sa che
costituiva la ricchezza di cui i sanniti avevano cura preminente in caso
di invasioni o assedi di nemici; o anche per tenerlo unito per le varie
esigenze di tosatura, macellazione, mungitura ecc. delle bestie in tempo
di pace. Convivevano nel rettangolo con il bestiame anche i pastori e
gli armati in caso di assedio, probabilmente in capanne di cui sarebbe
difficile trovare reperti. Giudicando dalla grande cisterna per la
raccolta dell’acqua piovana, che chiude il fortilizio nel lato minore in
direzione sud-est, sembrerebbe che a Monte Chiodo ci si preoccupasse
particolarmente dell’abbeveraggio del bestiame in caso di una prolungata
chiusura nel fortilizio.
Strutture archeologiche molto particolari sono comunque le sopravvivenze
di due muri, sempre del tipo ciclopico, che dipartendosi con direzione
sud-ovest nord-est dalle recinzioni dei due lati maggiori del forte
puntano con forte gradiente verso le valli di due corsi d’acqua che
scorrono centinaia di metri più in basso. Che servissero questi muri a
incanalare il flusso e il deflusso delle pecore e degli altri animali
verso e dal forte, con l’aiuto dei cani pastori su un solo lato? E’
opportuno ricordare a questo punto che a nemmeno un paio di chilometri
passa sotto Monte Chiodo l’antico tratturo della transumanza a cui in
piena epoca storica è stato dato il nome di “Pescasseroli-Candela”.
Transitavano lungo il tratturo le sterminate mandrie che come un fiume
inesauribile rendevano prosperi, intraprendenti e nemici formidabili i
sanniti. E quel forte e tutti gli altri eretti sulle cime che dominavano
quel percorso costituivano la spina dorsale lungo la quale si sarebbe
consolidata la struttura sempre più urbanizzata della società federale
sannita.
Termino con la descrizione sommaria della struttura di un edificio di
minori dimensioni, anch’esso più o meno rettangolare, a una quota
inferiore verso sud rispetto al forte, e a una distanza non eccessiva
dal tratturo della transumanza. E’ questo rudere ciò che resta del
santuario dell’ oppidum?
Un enigma della struttura è costituito da una specie di semicerchio in
uno dei lati minori che altera il perimetro rettangolare altrimenti
regolare dell’edificio. A Buonalbergo pensano perciò a una chiesa di
epoca tarda (medievale) perché il semicerchio indicherebbe la base dell’
abside di una chiesa. Noi però invitiamo a tener conto di un particolare
essenziale: i muri della cosiddetta chiesa sono della stessa natura
ciclopica di quelli del fortilizio e perciò adatti soltanto per
recinzioni. Ed estendendo il confronto anche ai muri di incanalamento
del bestiame e della cisterna dell’acqua piovana sulla vetta si può
ragionevolmente sostenere che tutti i muri del sito, compresi quelli di
quest’ultimo edificio, risalgono all’epoca sannita pre-romana. Ciò non
esclude evidentemente una dedicazione successiva del santuario italico
al culto cristiano. Ma con quei muri che tipo di copertura vi si poteva
appoggiare?
Esistono, inoltre, due linee parallele di massi di notevoli dimensioni
in quote inferiori rispetto alla cima, ad ovest del forte, che
potrebbero esser servite da antemurali per la difesa avanzata dell’oppidum.
Occorrerebbe, infine, parlare del nome del monte. Si tratta
evidentemente di un toponimo (esattamente un oronimo = nome di
un’altura) alterato dall’etimologia popolare che nasconde il nome
originale del luogo. Forse riguardava la divinità italica venerata nel
santuario. Ma questo non è lo spazio per approfondire l’ipotesi, poiché
si dovrebbe fondarla su uno studio allargato a tutta la toponomastica
della zona.
Ringraziamo per la gentile collaborazione l’amico dott. Fernando Jorio
di Buonalbergo che accompagnandoci su Monte Chiodo e aiutandoci con le
sue cortesi informazioni ci ha permesso di fare la scoperta di questo
bellissimo e stimolante luogo ricco di testimonianze sul nostro passato.
Bologna, 21 novembre 2009
_________________________
[1]
Nel sostrato dei dialetti locali sopravvivono molti fonemi della lingua
osca.
[2]
v. E.T.SALMON, Il Sannio e i Sanniti, Torino, 1985, p. 142; A. LA
REGINA, Cluviae e il territorio dei carecini, RAL, Sez. 8-22
(1967), pp. 88-9; e specialmente
T.J.CORNELL, The Conquest of Italy, in “The Cambridge Ancient
History”, Cambridge, 1989, vol VII, Part 2, pp. 356-7 : “The general
pattern of these settlements in the pre-Roman period seems to have been
one of scattered villages with associated hill forts and rural
sanctuaries. The functional separation of these three kinds of site is
characteristic of a non-urban or pre-urban society. The hill forts are
the most significant physical relics of pre-Roman Samnium.
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